sabato 28 marzo 2015

HANMI, LA POSIZIONE NATURALE DELLA RELAZIONE

La prima cosa che mi ha colpito quando ho iniziato a praticare Aikido è stata la bizzarra "guardia" che questa disciplina utilizza: posizione triangolare delle gambe, esposizione laterale del corpo e mani all'altezza del tronco, con braccia e dita ben distese. Provenendo da più di dieci anni di kung fu mi sembrava un suicidio. Inoltre lo sguardo, sereno e profondo, non era mai diretto negli occhi dell"'avversario" ma sembrava passargli attraverso
Solo nel tempo ho capito il senso di quella posizione. Solo nel tempo ho cominciato a considerarla un comportamento comunicativo e non una guardia.
Studi di psicologia sociale (Scheflen, Il Linguaggio del Comportamento, 1977 Astrolabio, Roma pp.69-70) hanno determinato che nelle conversazioni faccia a faccia è assai raro l'orientamento occhio a occhio. Ciascuno fissa lo sguardo su un punto a metà tra la guancia e la spalla dell'altro, appena fuori della portata oculare dell'altro. Quando la visione centrale è focalizzata sull'area guancia spalla il resto della parte superiore del corpo rimane entro la visione periferica. Ogni movimento che ha luogo fuori di questo spazio focalizzato, verrà percepito nei campi visivi e stimolerà un riflesso orientativo. La distanza focale del cristallino verrà allora modificata per osservare la parte in movimento (la precisione dell'orientamento merita un commento: in un pubblico di quaranta o cinquanta persone un oratore può puntare la sua attenzione con una precisione sufficiente per isolare un solo ascoltatore). Vale la pena fare una digressione sui meccanismi sensoriali della vista

IL MECCANISMO DELLA VISIONE

La retina (ovvero la parte dell'occhio sensibile alla luce) è composta da almeno tre zone o aree distinte: la fovea, la macula e la zona dove si verifica la visione periferica. Ogni zona svolge funzioni diverse che consentono di vedere in tre modi completamente differenti, ma che normalmente  non vengono avvertiti come separati a causa del fondersi simultaneo delle tre visioni in un unico quadro percettivo. La fovea è una piccolissima fossetta circolare al centro della retina, che contiene circa 25.000 coni sensibili ai colori inseriti in una rete fittissima, ciascuno con la sua fibra nervosa. La concentrazione delle cellule foveali è incredibile: 160.000 per millimetro quadrato (la superficie di una capocchia di spillo). La fovea permette la visione acutissima di un circoletto dal diametro variabile di circa l/96 - 1/4 di pollice alla distanza di una trentina di centimetri.

La fovea è circondata dalla macula: una superficie gialla e ovale di cellule sensibili ai colori. Questa copre un angolo visuale di 3 gradi di apertura verticale e di 12-15 gradi di apertura orizzontale. La visione maculare è nitida ma non chiara ed acuta come la foveale, perché le cellule sono meno fitte.
La macula è la parte della retina di cui l'uomo si serve, tra le altre cose, per leggere. Quando si afferra un movimento con la “coda dell'occhio” entra in gioco la visione periferica. Allontanandosi dalla parte centrale della retina, le caratteristiche e la qualità della visione cambiano radicalmente: la capacità di distinguere i colori (e di esserne distratti aggiungerei) diminuisce, perché i coni, demandati a questa funzione, si fanno più radi; la visione nitida e minuta si trasforma in grossolana nella quale tuttavia è accentuata la percezione del movimento. Duecento e più bastoncelli sono collegati ad un solo neurone: ciò ha l'effetto di amplificare la percezione del moto e di ridurre la qualità dei dettagli. La visione periferica è compresa in un angolo di circa 90 gradi, da una parte e dall'altra di una linea ipotetica tracciata al centro del cranio.

Ma, vi starete chiedendo probabilmente, cosa c’entra tutto questo con l’ Aiki?

Questa digressione sul meccanismo della visione può esserci utile per capire meglio l'idea di "guardare attraverso" l'altro, mantenendo un'attenzione costante sull'ambiente circostante. In effetti si tratta di evitare di concentrare la visione foveale in un particolare punto, ampliando al massimo l'utilizzo della visione periferica.
Non è tuttavia possibile, né sarebbe utile, eliminare la visione foveale. Ciò comporta il grave rischio di venir "catturati" o distratti da un particolare che, specializzando la nostra attenzione, ci inibirebbe nell'attività di attenzione costante sull'ambiente circostante.

Per comprendere come si può evitare tale rischio dobbiamo addentrarci di un altro passo all'interno dei meccanismi della visione.

VISIONE STEREOSCOPICA E "MA"

Il senso della distanza e dello spazio è dovuto al fatto che l'uomo ha una visione stereoscopica, o almeno questo è quanto comunemente si pensa. In realtà i monocoli possono vedere perfettamente in profondità e la loro peggiore menomazione è la mutilazione della visione periferica dalla parte dell'occhio cieco.

Gibson nel suo libro "The Perception of the Visual World" ha aperto una nuova prospettiva, superando l'opinione tradizionale che vuole la visione stereoscopica come la causa della percezione della profondità (prodotta dalla sovrapposizione dei due campi visivi). La tesi di Gibson e piuttosto complessa, egli individua sperimentalmente infatti ben tredici sistemi di percezione della profondità, ed è per questo che senza indugiare oltre rimandiamo il lettore all'opera originale (tra l'altro anche in appendice ne "La dimensione nascosta" di E.T.Hall). Basti sapere, per ora, che tale tesi è supportata da ampi ed esaurienti studi della psicologia transazionale che dimostrano come il senso visivo della distanza travalica nettamente le leggi della prospettiva lineare.

Gran parte dell'arte di quest'ultimo secolo è in diretta polemica con la prospettiva lineare del Rinascimento e tenta di esprimere le numerose e diverse forme di prospettiva. Tuttavia la prospettiva lineare è, in occidente, ancora alla base dell'arte più popolare.
I pittori cinesi e giapponesi rappresentano la profondità in modo completamente diverso: l’arte orientale fa variare progressivamente il punto di vista, mantenendo la scena costante, mentre gran parte dell'arte occidentale usa il processo esattamente opposto.

Il problema trascende il campo artistico, anche se si riflette in esso: è lo spazio ad essere percepito in modo radicalmente diverso. In occidente si percepiscono gli oggetti, ma non gli spazi che li comprendono; in Giappone, invece, gli spazi sono percepiti, dominati e venerati come il MA, o intervallo intercorrente.

La prospettiva lineare del Rinascimento, prendiamo ad esempio la pittura, mantiene lo spazio statico ed organizza i suoi elementi in modo che tutto l'insieme possa essere visto da un solo punto.
Questo, in sostanza, significa trattare lo spazio tridimensionale in modo bidimensionale.
La coscienza dello spazio come intervallo intercorrente, del MA, ci permette di considerarlo come oggetto osservabile esso stesso. La visione foveale può, dunque, diluirsi nell'osservazione chiara del ma e omote e ura diventano dimensioni prospettiche della stessa cosa, modi di usare lo spazio che è intorno ad un individuo e tra questi e noi.

Le persone in un rapporto "faccia a faccia" non si guardano negli occhi salvo che in un confronto aggressivo diretto o in uno scambio di corteggiamento. Nessuna delle due situazioni si adatta, evidentemente, a ciò che dovrebbe accadere in un dojo di Aikido.

Paolo Narciso


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